martedì 18 maggio 2010

L'ultimo tributo a Ronnie James Dio

Come un arcobaleno si dissolve nella tetraggine dell’oscurità, il fiero e mesto animo di Ronnie James Dio, icona assoluta dell’hard rock e dell’heavy metal, si vanifica colpito da un greve e implacabile carcinoma allo stomaco. Le notizie anagrafiche riguardo la figura di Ronald James Padavona sono scarne e imprecise. Figlio di genitori italiani c’è chi dice sia nato nel 1942 a Portsmouth, in New Hampshire, chi a Cortland, stato di New York. Si fa conoscere al pubblico con lo pseudonimo Dio, in onore di un famoso gangster americano, Johnny Dio, anche lui di origini italiane. Dopo aver fondato in patria la rock band The Vegas Kings vira, negli anni settanta, su sonorità più dure dando vita agli Elf. Trasferitosi in Inghilterra entra in contatto con i più importanti gruppi della scena, tra cui i Deep Purple, con i quali collabora in diverse occasioni. L’incontro con Ritchie Blackmore segna una svolta decisiva sia per la carriera del singer americano sia per l’economia della musica globale che vede nascere una collaborazione d’elite. Il famosissimo chitarrista dei Deep Purple, infatti, abbandona la formazione per entrare negli Elf, prenderne le redini e ribattezzarli in Rainbow. In poco tempo conoscono un grande successo. Dopo alcuni anni, a causa di frizioni con Blackmore, Dio lascia la sua originaria creatura e viene assoldato dai Black Sabbath di Tony Iommi per sostituire l’uscente Ozzy Osbourne. E’ oramai leggenda. La cooperazione con la band di Birmingham, nonostante la stesura di due indiscussi masterpiece come “Heaven And Hell” e “Mob Rules”, dura pressappoco qualche anno. Nel 1982 Ronnie James, nuovamente a causa di dissidi interni, si allontana dagli inglesi per fondare i Dio, band che rimarrà, non contando la recente reunion con gli ex componenti dei Sabbath sotto il monicker Heaven And Hell, la sua valvola di sfogo fino al decesso avvenuto il 16 maggio 2010 a Houston. Chi è vicino al mondo del rock non può che piangere la scomparsa di un’artista vulcanico che ha dato moltissimo alla musica e ai suoi sostenitori. E’ d’obbligo, allora, elevare un tributo sincero a colui che, nel giorno successivo alla sua scomparsa, è stato definito anche da un blasonato quotidiano nazionale “la voce del metal”. Tutti lo ricorderanno per aver scritto e interpretato, in una sequenza infinita di emozioni chiamata carriera, brani memorabili passati alla storia come “Neon Knights”, “Stargazer” o “Holy Diver”. Ma una vile e misera elencazione non renderebbe giustizia alla grandezza dell’artista. Ora Ronnie James, elegante nei preziosismi di un giustacuore ricamato da folli arabeschi, passeggia irrequieto per le sterminate contrade del cielo. Aver dovuto cancellare, a causa della fatale malattia, diverse date del tour con gli Heaven and Hell è il cruccio più grande che lo tormenta. Ma molti lo vedono ancora lì, sul palco, scatenato e incisivo con le corna puntate alla folla. Quel gesto così ancestrale e apotropaico, ora violentato dalla massa, è diventato sinonimo di rock’n’roll, di musica ribelle. La leggenda vuole che il cantante statunitense, prendendo spunto da un’abitudine di sua nonna che soleva scacciare la sventura con il tipico gesto delle corna, si avvalse per primo della famosa posa con il pollice, l’indice e il mignolo alti facendone un simbolo universale, oggi mitizzato. La linea fra realtà e favola è spesso sottile, in alcuni casi insondabile, e Ronald James Padavona ha deciso di portarsi l’arcano segreto nella tomba. I suoi fan amano sottolineare che esiste un solo Dio, di nome Ronnie James. Io posso dire che, alla stregua di molti appassionati, l’accoglimento di una fede e dei suoi relativi dogmi non è mai stata così semplice e appetibile. Che gli dèi abbiano cura di lui.

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