domenica 23 maggio 2010

LA MEMORIA LABILE DELLO STATO ITALIANO

23 maggio 1992, ore 17.58, km 5 dell'autostrada A29. Una bomba fatta con cinque quintali di tritolo spezza le vite di Giovanni Falcone, di sua moglie Franca e di quattro uomini della sua scorta.
Il mandante Totò Riina, l'esecutore Giovanni Brusca.
Immagini che scioccano l'Italia e che, a distanza di tempo, continuano a farlo. Falcone e Borsellino, uomini che hanno sfidato la mafia e che in un certo senso sono riusciti a darle una forte spallata. L'impegno di questi due uomini, e di molti altri, ha fatto sì che svolgesse il maxi processo del 1987 che emanò 360 sentenze con un computo finale di 2665 anni di carcere. Uno dei grandi meriti dei due magistrati fu il sapiente uso dei mezzi a loro disposizione, a cominciare dalla possibilità di sfruttare indagini sui patrimoni e sui movimenti bancari dei sospetti, intercettazioni per sgominare i componenti delle cosche. Dopo questo lavoro innovativo le tecniche d'indagine si sono evolute, perfezionate, fino ad ottenere grandi risultati nella lotta alla criminalità organizzata. Oggi però, beffa del destino proprio nei giorni del diciottesimo anno dalla morte di Falcone, sit-in, giornalisti e politici s'oppongono a una legge che porterebbe il sistema investigativo indietro di molti anni; la legge in questione è quella sulle intercettazioni. Le intercettazioni sono ormai una delle armi vincenti dei gruppi investigativi, infatti il connubio elettronica, informatica e scienze investigative è stato fruttuoso negli ultimi anni. Secondo tale legge però, per evitare l'uso improprio delle intercettazioni bisogna che diventino ammissibili solo per i seguenti reati: delitti per i quali è previsto l'ergastolo o reclusione superiore ai 5 anni di carcere, per i delitti contro la pubblica amministrazione, per quelli riguardanti la droga, il contrabbando di armi ed esplosivi, la minaccia, l'usura, la diffusione di materiali pedo-pornogafici. Inoltre per poter rintracciare con questi mezzi elettronici degli indagati bisogna che ci siano delle autorizzazioni che devono essere rilasciate solo in presenza di indizi di colpevolezza con una durata massima, dell'autorizzazione, di 60 giorni. Uno dei punti più particolari, se così si possono definire, di questa legge è quello riguardante gli ambienti ove devono essere posizionate cimici, telecamere o altri mezzi che permettono la registrazione a distanza: tali strumenti devono essere posizionati nei luoghi in cui vi è fondato motivo si stia svolgendo attività criminosa. E il fondato motivo da quali indizzi dovrebbe derivare? Le sanzioni stabilite per chi pubblica le intercettazioni vanno dai 6 mesi ai 3 anni, gli editori rischiano un'ammenda di 465 mila euro e i giornalisti, invece, rischiano l'arresto con reclusione per un massimo di 30 giorni e una multa che va dai 5000 ai 10000 euro.
Se qualche rantolo del giornalismo investigativo si udiva ancora con l'approvazione di questa legge si potrà firmare il certificato di morte.
Il problema fondamentale non è questo, il problema è che i sacrifici e il duro lavoro di chi, come Falcone e Borsellino, hanno dedicato la vita alla lotta alla criminalità andrebbe in fumo in un solo colpo dando la possibilità alla mafia di tornare a riconquistare quegli spazi perduti in questi decenni. Qualche giorno fa (il 21 maggio) davanti a Monte Citorio c'è stato un sit-in che protestava contro questa legge. Giornalisti, politici, gente comune che non hanno avuto spazio sugli schermi televisivi, ma che si sono comunque fatti sentire urlando le loro idee, avverse alla legge, arrampicati su una cassetta di frutta rovesciata. Della stessa idea sembra essere il sottosegretario USA Lanny A. Brauer che, in visita in Italia proprio per presenziare ai memoriali della morte di Falcone, risponde alle domande dei giornalisti sulle intercettazioni in questo modo: "le intercettazioni sono un elemento essenziale per la lotta alla mafia [...] la legislazione italiana, finora, è stata molto efficace, non vorremo mai che accadesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di fare l'ottimo lavoro svolto finora". Arriva, quindi, anche dagli USA un indirizzo al nostro governo: no a una legge che darebbe nuova ninfa alla criminalità organizzata.
In questi giorni proprio il ricordo della morte di Falcone, il ricordo del suo operato e della sua passione, dovrebbe far riflettere i vertici dello stato sulle conseguenze che porterebbe una legge simile sia sul versante della giustizia sia sul versante della salvaguardia delle libertà di ogni singolo cittadino che ha il diritto d'essere informato.
Carosi Domenica

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