
Ormai della fuga di cervelli si sente parlare tanto e spesso, soprattutto in Italia, infatti ci sono state recenti manifestazioni,assemblee e occupazioni durante le quali l’università ha fatto sentire la propria voce. Per esempio, una delle azioni previste dai ricercatori italiani potrebbe essere quella di rifiutarsi di ricoprire incarichi didattici finchè non sia riconosciuto loro lo status di docenti, con la conseguenza che, semmai dovessero rifiutarsi di svolgere incarichi, si avrebbe un blocco totale dell’università, visto che circa il 45% della didattica è affidata ai ricercatori.
Si tratta di una “emigrazione d’élite”: la fuga all’estero di migliaia di laureati, che riescono a trovare oltre confine un lavoro qualificato e ben retribuito. I cervelli fuggono e se ne rammaricano, perchè la preparazione di base delle nostre università è ottima, ma manca tutto il resto e ciò che rattrista maggiormente è che spesso non tornano in patria perché non credono più nel proprio paese.
Infatti l’Italia non è in grado né di esercitare una forte attrattiva per il loro ritorno, né di utilizzare a un livello più elevato i laureati italiani e gli immigrati presenti sul suo territorio, quindi continua a “perdere le teste”.
Quasi definitivamente e lo dimostra il fatto che più di metà dei laureati italiani che vivono e lavorano con successo all’estero non considerano come possibilità concreta quella di tornare nel Belpaese. Con il trascorrere del tempo, infatti, l’ipotesi di un rientro diventa sempre meno probabile.
il discorso si fa più complicato se si pensa che in italia la ricerca è sottofinanziata e mal gestita e non è in grado di trattenere e attrarre intelligenze; scarseggiano gli sbocchi di carriera perché non ci sono stipendi adeguati. tutto questo non è cambiato con il tempo.
Basti pensare che la borsa di studio per un dottorato di ricerca in Italia è di molto inferiore rispetto ad altri paesi avanzati ed i giovani ricercatori più qualificati trovano facilmente lavoro presso università e centri di ricerca stranieri, con livelli di retribuzione adeguati, migliori tutele e soprattutto, interessanti prospettive di ricerca ed inserimento professionale.
La fuga dei cervelli dall'Italia non è un fenomeno che si manifesta unicamente nel mondo della ricerca.
Secondo me è giusto che i giovani sviluppino una mentalità internazionale, che facciano esperienze lavorative all’estero perché il confronto fra culture di paesi diversi è un grande arricchimento dal punto di vista culturale e professionale, ma dopo queste esperienze formative è giusto che si ritorni in patria affinchè molte giovani menti non abbandonino il nostro paese, ma soprattutto lo rendano competitivo per le sfide che ci aspettano nel nuovo millennio. Bisogna che ci sia un impegno concreto per arginare il fenomeno in questione, offrendo dopo i percorsi di studi universitari e di perfezionamento all’estero, adeguate possibilità di ingresso nel mondo del lavoro.
di Valeria Gatto
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