martedì 25 maggio 2010

Belen: "Che figo Mourinho"

Se lo ribadisce anche l'argentina, c’è da fidarsi. Tutti pazzi per Josè, tutti pazzi per l’Inter. Dopo i tremori e i frenetici festeggiamenti di una notte passata in cima all’Europa si allungano le prime, oblunghe ombre sulla squadra del presidente Moratti. Voci di fughe, voci di sotterfugi, voci di addii. Tutto vero, tutto falso. Come spesso succede, la verità è nel mezzo. Quello che è certo si profila di nuovo al centro del Bernabeu, sotto il cocente sole madrileno. Il generale, il condottiero, il sergente Mourinho, chiamatelo come più vi piace, sveste i trionfanti panni neroazzurri e si appresta a indossare la camiseta blanca. Una volta cancellata la pellicola di vittorie in bianco e nero, e sollevato il pesante fardello di un’agognata maledizione, il Vate di Setubal lascia l’Inter per seguire il lucido disegno del suo avvenire, programmato chissà da quanto, forse nella magica sera del suo primo trofeo europeo, la Coppa Uefa agguantata con il Porto nella stagione 02/03. Poi il famoso sbarco sulle rive del Tamigi, il sacco di Chelsea e la breccia nei cuori dei tifosi blues. Nel giugno 2008 vola a Milano, alla corte del presidente illuso, e stravolge tutti gli schemi. “Io non sono pirla” recita alla prima conferenza stampa. E’ già storia. Poi un anno facile in Italia ma difficile in Europa. La squadra neroazzurra alza il suo quarto scudetto consecutivo, i maligni polemizzano il terzo, ma in Champions League continua la maledizione degli ottavi: fuori con il Manchester United di Sir Alex Ferguson. In un’altra delle sue spettacolari conferenze stampa s’inalbera e scuote il calcio italiano dalla testa ai piedi. Con la lapidaria sentenza passata ai posteri come “Zeru Tituli” si prende beffe della stagione fallimentare di Milan, Juventus e Roma. Apoteosi per i tifosi della Beneamata, rabbia e fastidio per gli avversari. E’ la stagione 09/10 che assegna la gloria degli italiani al tecnico portoghese. La dirigenza interista allestisce una squadra competitiva vendendo il più superbo dei suoi campioni, Zlatan Ibrahimovic, decisivo nelle partite facile ma fantasma in quelle importanti. Al suo posto arrivano Samuel Eto’o e Diego Alberto Milito, un signor nessuno e fantastico goleador, l’alfiere che declamerà lo scacco matto a Madrid, nella notte più importante per la società milanese da quarantacinque anni a questa parte. La stagione per il tecnico è ricca di trappole e insidie. Parla e viene deferito, gesticola e viene squalificato, vince ma è osteggiato dalla stampa e dai massimi organi del sistema calcio, spaventati dalla sua irriverenza e dalle sue mani incrociate a simulare una prigionia metaforica. Arriva maggio che porta seco il verdetto finale: uno, due, tre o zeru tituli. Milito segna a Roma, a Siena e a Madrid. L’Inter conquista Coppa Italia, Campionato e Champions League. Mai a nessun club, in Italia, era riuscito a tanto, alla triplice impresa. Josè Mourinho solleva la Coppa e proprio nella serata più bella per il popolo interista annuncia velato di lacrime il suo addio. Lo stesso campo fiorito dove ora festeggia ammantato di nero e di azzurro lo vedrà protagonista da allenatore nella prossima stagione. Si, proprio il Bernabeu, arena del leggendario Real Madrid. Josè segue il corso del suo destino, segue la sua spietata ambizione di vincere il massimo titolo nei principali campionati europei: Premier League, Liga e Seria A. In Inghilterra c’è riuscito vincendo la competizione con il Chelsea, dopo cinquant’anni di astinenza, mentre in Italia la sua leggenda è attuale più che mai. In questi giorni d’ingenua speranza i tifosi, ancora in festa, vedono il futuro del loro allenatore colorarsi di bianco e imprimersi nelle cromature cangianti delle banconote di Florentino Perez. José Mário dos Santos Félix Mourinho non è un personaggio sedentario e limitato, è un vincente, e con la sicurezza d’intenti che lo contraddistingue prevarrà anche alla guida dei galattici, appagando così la sua bramosia di vittorie. C’è chi lo ama e chi lo odia, ma se anche Belen si pronuncia favorevolmente c’è poco da fare. Il primo, inalienabile comandamento è marchiato a fuoco sulla pelle di ogni interista: “Non avere altro allenatore all’infuori di Mou”. Mosè si metta pure l’anima in pace.

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