A metà strada tra il vecchio e il nuovo continente sorge un agglomerato di terra intirizzito dai ghiacci: l'Islanda. Le origini di questa terra inospitale si perdono nella notte dei tempi e a livello antropologico è difficile stabilire chi per prima l'abbia colonizzata. E' certo che i monaci eremiti irlandesi, sin dal IX secolo, abbiano trovato all'interno di questa terra rifugio per il proprio sviluppo psicofisico. Nel cuore di questa landa subartica ghermita dal permafrost discontinuo si nasconde una forza generatrice ardente come il nucleo del sole. Le viscere dell’isola, infatti, sono scosse continuamente da un’energica attività geotermica che scuote la superficie liberandosi in fessure e scanalature che segnano il territorio come cicatrici millenarie. I famosissimi “geyser”, le sorgenti di acqua calda che eruttano a intervalli periodici ondate di vapore, sono solamente uno dei fenomeni naturali della geologia islandese. In prossimità di questi potenti getti di h2o nebulizzata è elevata la presenza di formazioni vulcaniche. Si possono contare un centinaio e oltre di vulcani attivi, la maggior parte concentrati negli altopiani d’Islanda, che coprono quasi la totalità della terra circondata da acque con capitale Reykjavìk. Il vulcanismo, in questa nazione nordica, è molto particolare e tecnicamente è indicato come “fissurale”, o lineare. In questo tipo di eruzioni la lava non fuoriesce da un unico cratere ma da ferite che si aprono sulla crosta terrestre. E’ facile, allora, percepire come l’Islanda sia una terra costantemente viva e detentrice di un’aura naturale desueta.
In questi giorni l’Eyjafjöll è il vulcano più famoso d’Europa. Ubicato nella parte meridionale dell’isola, nel Suðurland, uno degli otto Landsvæði, le regioni, è interamente ricoperto dal ghiacciaio Eyjafjallajökull con il quale viene, spesso e volentieri, erroneamente identificato. La sua attività affonda le radici nel tempo atavico delle glaciazioni; la sua conformazione è quella di uno stratovulcano eroso e, fino ad oggi, la sua operosità è rimasta incatenata a quattro eruzioni. L’ultima, quella del 20 marzo 2010, probabilmente la più famosa. E così, tra incessanti terremoti, alluvioni, uragani e quant’altro Madre Natura dispone per tenerci a bada, le tempestose ceneri dell’Eyjafjöll si cristallizzano come l’ultimo ruggito degli déi. Un monito di antichi domini primordiali, quando sulla Terra regnava il caos, il disordine primo, e l’uomo non era altro che un inutile frammento di un mondo governato da forze ribelli. Dopo aver oscurato i cieli di mezza Europa, mandato in tilt centinaia di aeroporti e quasi rimandato una semifinale di Champions League il nostro caro cono edificato da lave basaltiche e andesitiche non pare aver frenato la sua ira. Una nuova, gonfia nube si sta allungando verso la Gran Bretagna scatenando la rabbia delle compagnie aeree disperate per le perdite economiche degli ultimi giorni. In Italia la situazione è sorvegliata costantemente dall’Enac che ha predisposto il blocco del traffico aereo almeno fino alle otto di martedì 20 aprile. Sconvolti anche i piani dei sindacati che, causa l’imprevedibilità e la delicatezza della situazione, hanno rinviato lo sciopero del 23 corrente mese al 28 maggio. E’ bene accorgersi e temere il pugno serrato di sua maestà Natura.
Lontano verso la Groenlandia, in un’ipotetica Thule, Atlantide o Iperborea sorge il trono pagano degli déi. Abbarbicato alla roccia affumicata dai sotterranei fiumi di lava un ipotetico Re del Mondo, fiero nel suo scranno, vigila sugli eventi e sull’avvenire dell’umanità. Le colpe da espiare sono innumerevoli, i risvolti tragici. Quando potremmo tornare a sederci sulla Terra? Quando potremmo tornare a dormire sonni tranquilli? L’antica simbiosi tra uomo e natura pare ormai un ricordo svanito tra le macerie della devastazione globale. Rifuggendo da inutili profezie precolombiane navighiamo con il nostro vascello attraverso insenature fredde, tra pareti ripide e scoscese, senza trovarvi approdo. Dal castello di poppa allunghiamo un cannocchiale verso la brughiera distante. Un albero, colpito da un fulmine, divampa in fiamme sollevando una cortina tossica di clorofilla. Il futuro ancora non è sicuro da queste parti, difficile stabilire quando lo sarà.